Fonte immagine: Globewanderin
Quali sono le caratteristiche di un buon libro? Spesso è difficile trovare una risposta universale perché molti criteri, soprattutto per i lettori, sono inevitabilmente soggettivi. Per quanto mi riguarda un buon libro deve incuriosirmi, intrattenermi e riuscire allo stesso tempo a farmi riflettere o comunque deve colpirmi per qualche aspetto. Recentemente tutte queste qualità le ho piacevolmente riscontrate nel romanzo “Più donne che uomini” della scrittrice inglese Ivy Compton Burnett (traduzione di Stefano Tummolini), finora ingiustamente poco conosciuta, ma che aveva folgorato già intellettuali del calibro di Natalia Ginzburg.
Approcciandosi allo stile della Burnett, salta subito all’occhio come vi siano pochissime scene descrittive e come l’azione del romanzo ruoti intorno ai dialoghi, scoppiettanti e a tratti irriverenti, poiché rivelano opinioni non convenzionali sui rapporti uomo-donna. In “Più donne che uomini” assistiamo ai cambiamenti di un istituto femminile, gestito dalla generosa e instancabile Josephine Napier, che si preoccupa delle sue insegnanti, incoraggiandone anche le inclinazioni private e trovando sempre una soluzione per riuscire a far quadrare ogni dettaglio all’interno dell’istituto ma anche nella sua vita e in quella dei suoi cari, come quella del nipote Gabriel. Così facendo la scrittrice dà la parola direttamente ai suoi personaggi che con le loro parole tracciano il sentiero del romanzo.
Addentrandosi nei dialoghi vengono fuori tematiche importanti, come le dinamiche familiari, il ruolo della donna nella società, nonché il perdurare di alcuni stereotipi anche nell’ambito maschile. Il risultato è un ritratto della società inglese di inizio secolo, rappresentata dallo stile frizzante di Ivy Compton Burnett, che ricorda quell’arguzia intelligente tipica di Oscar Wilde.
“Non vi piace parlare del mio aspetto?”. “Oh, al contrario”, disse la signorina Luke, gettando subito la spugna. “Lo immaginavo. Non capita spesso di poter dire a qualcuno che è insignificante”. “O che possiede altre qualità”, disse la signora Chattaway, con una punta di malizia. “Quindi mi trovate insignificante!” “L’avete detto voi, signor Bacon”. “Ma non pensavo che potesse dirlo anche qualcun altro. Non mi era mai capitato”. “Forse avreste fatto meglio a non lanciare il sasso”.
“Più donne che uomini” è stato pubblicato per la prima volta nel 1933 e se dapprima è stata scoperta da noi grazie a Natalia Ginzburg, che aveva segnalato a Giulio Einaudi “questa scrittrice «strana e divertente»”, sembrerebbe poi essere stata dimenticata per molto tempo. Ora è possibile leggere le sue opere e porre rimedio a questa grave mancanza, riapprezzando lo stile della Compton proprio da questo romanzo.
Consigliato per chi cerca qualcosa di intelligente, arguto, sagace, che non manca di dimostrarsi divertente e piacevole, per i fan di Oscar Wilde che ne troveranno qui una sua versione al femminile, per chi è appassionato di romanzi inglesi, per chi vuole indagare sui rapporti familiari, uomo-donna e madre-figlio, per chi non sta cercando un romanzo d’azione ma piuttosto vuole leggere qualcosa di frizzante, basato su dialoghi e opinioni.
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La citazione dal libro:
“Se fossi donna”, disse Gabriel, “mi seccherebbe essere pagata meno di un uomo, sapendo di lavorare quanto lui. E anche di più alle volte”. “Sì”, disse Josephine, senza sottolineare in alcun modo la differenza, “le donne lavorano più degli uomini, nel complesso.”
Per altre citazioni consultate Cocktail di citazioni.
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