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Le insidie del progresso tecnologico: “Kentuki” di Samanta Schweblin

Le insidie del progresso tecnologico: “Kentuki” di Samanta Schweblin

Fonte immagine: Globewanderin

La tecnologia agevola la nostra vita, ma si sa anche che ai molti benefici si uniscono svariati effetti collaterali, che ci riguardano personalmente e vanno a intaccare la nostra sfera privata. Siamo sempre connessi e questo fa sì che le grandi aziende sappiano tutto (o quasi) di noi, conoscano le nostre abitudini e abbiano a disposizione più informazioni di quanto possiamo immaginare. In questo ambito si muove anche il romanzo dell’argentina Samanta Schweblin, “Kentuki”, tradotto da Maria Nicola per Edizioni Sur. A ogni angolo del mondo si sta diffondendo sempre più la kentuki-mania: peluche che hanno diverse sembianze animali, ad esempio possono essere conigli, draghi, corvi o topi, diventano dei veri e propri compagni per le persone che li acquistano. Se da una parte c’è chi possiede uno di questi kentuki, dall’altra c’è anche una persona che lo abita, un “essere”. Per quanto utili e carini, emerge sin da subito che la vicinanza di questi animaletti apre le porte della vita dei personaggi a dei perfetti sconosciuti. Una comodità si trasforma così in qualcosa di pericoloso.

In “Kentuki” ci troviamo di fronte a un romanzo reale, che punta i riflettori su una tematica contemporanea, dai risvolti inquietanti. Ma ci sono molti altri argomenti che vengono affrontati. Primo fra tutti spicca un forte senso di solitudine, che è provato dai personaggi di turno: avere un kentuki è come avere un cane o un gatto, con la differenza che l’aspetto inganna e il proprietario non può sapere chi si nasconde realmente dietro questa creatura. D’altra parte chi diventa un kentuki, comandandolo a distanza e connettendosi in un qualsiasi luogo del mondo, si costruisce un’esistenza parallela e sente il bisogno di sfuggire alla propria realtà. Tuttavia, non sempre il legame kentuki-padrone è quello sperato e dietro l’anonimato si nascondono manie, perversioni, malattie e bisogni difficilmente intuibili. Lo stesso discorso vale non solo per chi è un kentuki, ma anche per chi è il padrone di uno di questi peluche.

Con “KentukiSamanta Schweblin ha messo in scena una sorta di esperimento sociale, che indaga il rapporto dell’uomo con un altro essere ma anche con la tecnologia, che offre tante comodità ma a caro prezzo. Seppur il romanzo si compone di una serie di racconti, volti a esporre questa realtà immaginaria, è chiaro il nesso con la società attuale, che forse non è poi tanto diversa da quella descritta nel romanzo. In definitiva, si tratta di una storia avvolgente, dai tratti distopici, che porta alla luce le insidie della tecnologia, camuffandole dietro il sottile velo della finzione.

Consigliato per chi ama la tecnologia, per chi è affascinato ma allo stesso tempo ha paura del grande potere della tecnologia, per chi deve ancora imparare a usare la tecnologia consapevolmente, per chi ama i distopici, per chi vuole leggere considerazioni sulla realtà sotto altre forme.

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La citazione dal libro:

Era stato allora che li aveva visti per la prima volta. Ce ne dovevano essere una quindicina, una ventina, impilati nelle scatole. Non erano solo dei pupazzi, questo era chiaro. Perché i clienti potessero vederli, diversi modelli erano esposti fuori dalla confezione, ma abbastanza in alto perché non fossero raggiungibili. Alina prese una delle scatole. Erano bianche ed essenziali, come le scatole dell’iPhone e dell’iPad di Sven, ma più grandi. Costavano 279 dollari, una cifra considerevole. Non erano belli, eppure avevano qualcosa di sofisticato che non riusciva a mettere a fuoco. Che cos’erano esattamente? Posò la borsa e si piegò sulle ginocchia per vederli meglio. Le immagini sulle scatole mostravano diversi animali. C’erano topi, conigli, corvi, panda, draghi e civette. Ma non ce n’erano due uguali, cambiavano i colori e i materiali, alcuni erano customizzabili.

Per altre citazioni consultate Cocktail di citazioni.


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