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Mistero a Blackheath: “Le sette morti di Evelyn Hardcastle” di Stuart Turton

Mistero a Blackheath: “Le sette morti di Evelyn Hardcastle” di Stuart Turton

Fonte immagine: Globewanderin

Tanto tempo fa un omicidio è avvenuto nella grande casa degli Hardcastle: il figlio Thomas è stato ucciso e da allora la famiglia non è stata più la stessa. A distanza di 19 anni viene organizzata una grande festa in onore della figlia Evelyn, a cui attende la stessa tragica sorte del fratello. Nessuno sa chi l’ha uccisa e diversi invitati alla festa avranno il compito di scoprirlo. Parte da questo presupposto “Le sette morti di Evelyn Hardcastle” di Stuart Turton, tradotto da Federica Oddera, che in modo originale svela un mistero indissolubilmente legato alla proprietà degli Hardcastle.

Affascinante è il modo in cui questa grande casa viene descritta, diventando un personaggio del romanzo e facendo da sfondo alla vicenda. Sembra quasi di trovarsi su un filo che divide la realtà dalla fantasia, perché se l’ambientazione presenta tratti reali, le azioni che caratterizzano il romanzo prendono le mosse dall’immaginario. Infatti il protagonista ha a disposizione otto incarnazioni per risolvere l’enigma della morte di Evelyn e assumendo le sembianze di alcuni invitati alla festa, di volta in volta scopre dei nuovi tasselli che vanno a completare il puzzle. Illustrando il suo piano ben articolato, pare che l’autore voglia addentrarsi in diverse personalità e giocare con la prospettiva “cosa succederebbe se accadesse una determinata cosa”. Non manca poi la divisione tra bene e male e la caratterizzazione di particolari figure, come quella del lacchè e del Medico della Peste che contribuiscono a dare al romanzo un’atmosfera teatrale.

Turton si avventura in un mondo non lineare, dove il tempo scorre in maniera atipica: si va indietro, per poi ritornare al futuro e fermarsi nel presente. In “Le sette morti di Evelyn Hardcastle” ognuno ha un ruolo da svolgere, caratteristica sottolineata ancora di più dalla presenza di maschere. Sotto la superficie si nasconde la vera natura delle persone, che indossano solo una maschera.

Passo dopo passo si dissolve il grattacapo e soprattutto fa capolino la certezza che non tutto è come potrebbe sembrare. Diversi sono quindi i colpi di scena che lasciano a bocca aperta il lettore e lo inducono a pensare. Come in una partita a scacchi, mossa dopo mossa si fa scacco al re, giungendo a un finale difficilmente prevedibile. “Le sette morti di Evelyn Hardcastle” è un intrigo surreale, che proprio per questo si fa apprezzare e lascia lo spettatore/lettore a tirare le somme delle rivelazioni avvenute nel corso della narrazione.

Consigliato per chi ama i gialli intriganti e di difficile risoluzione, per chi ama i romanzi che mescolano elementi reali e fantastici, per chi vuole lasciarsi sorprendere, per chi nasconde dietro la metodicità un certo estro che sa tirar fuori al momento giusto, per chi ama il teatro e per chi ama esplorare diverse possibilità che vanno a riempire piano piano le tessere mancanti di un puzzle.

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Senza gli ospiti a distrarmi dagli arredi, Blackheath mi appare una dimora davvero malinconica. Con l’eccezione del maestoso atrio d’ingresso, i locali che attraverso si rivelano antiquati, insidiati dalla muffa e dal degrado. Negli angoli si accumulano i granelli del veleno per i topi, e la polvere copre ogni superficie troppo alta per essere raggiunta dal braccio di una domestica. I tappeti sono logori, i mobili segnati, i servizi d’argento coperti di macchie occhieggiano dietro le sudice ante delle vetrine. Per quanto sgradevoli possano sembrare gli altri invitati, manca il brusio dei loro discorsi. Sono la linfa vitale di questo posto, di cui riempiono gli spazi dove altrimenti cadrebbe  un lugubre silenzio. Blackheath è viva soltanto grazie alle persone che la abitano. In loro assenza, l’edificio non è altro che un rudere deprimente in attesa del pietoso intervento della palla d’acciaio di un demolitore.

Per altre citazioni consultate Cocktail di citazioni.


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