Fonte immagine: Globewanderin
Si dice che le parole feriscano più di una spada e proprio questo è uno dei temi intorno a cui ruota “L’alfabeto di fuoco” di Ben Marcus, tradotto da Gioia Guerzoni. Nel romanzo seguiamo da vicino i protagonisti, Sam, Claire e la loro figlia Esther, che è causa della malattia che affligge i genitori. Ogni giorno ascoltando le parole di loro figlia stanno sempre peggio e per questo sono costretti ad abbandonarla per salvarsi. Ovviamente un simile gesto non è compiuto a cuor leggero e Sam farà di tutto per riunirsi alla sua famiglia, cercando anche di trovare una soluzione a questa epidemia dilagante.
A colpirmi del libro è stato soprattutto il linguaggio crudo, che descrive scene inquietanti e si sofferma, a volte, su particolari macabri (che non ho tuttavia sempre apprezzato). Un chiaro motivo del perché sia scoppiata questa epidemia non viene dato, volendo lasciare questo punto probabilmente all’immaginazione. Il fatto che siano gli adulti a soffrire di questo male provocato principalmente dai bambini, fa pensare che l’autore abbia voluto mettere in luce una sorta di conflitto generazionale. L’impossibilità di capirsi tra adulti e bambini. Interessante è anche il modo in cui si parla di lingue, comunicazione e linguaggio, che prospetta un futuro silenzioso, dove il non detto regna incontrastato. Perché parlare può fare male, in questo caso anche fisicamente.
Seppur l’argomento trattato faccia riflettere, non sono stata completamente conquistata da questo libro, che, a volte, divaga a lungo su alcuni dettagli e procede con un ritmo lento per i miei gusti. La terza e ultima parte è quella che mi è piaciuta di più, insieme ad altri capitoli che hanno risvegliato la mia attenzione per un verso o per un altro, come il capitolo 35, in cui Sam stila una sua personale storia del linguaggio. Forse non l’ho letto in un momento giusto e penso che lo rileggerò in futuro per apprezzarlo meglio.
Consigliato per gli amanti dei distopici e dei futuri apocalittici; per chi ama le lingue e la comunicazione; per chi vuole leggere una storia particolare e farsi delle domande durante la lettura.
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Scrittura amministrativa, scrittura amorosa, scritture concepite per celare segreti e sviare l’attenzione. Testai tutti i linguaggi specialistici, il linguaggio del lamento, delle scuse, della negazione. Scrissi frasi semplici, nascondendo le mie stesse parole con la carta autocensurante. Di proposito componevo frasi piene di errori, frasi afflitte da incongruenze verbali e di registro. Frasi di dubbio gusto, di buon gusto, senza gusto. […] Sottraevo lettere alle parole, cancellavo vocali, usavo solo vocali, ne sceglievo una, per esempio la O, e la sostituivo a tutte le altre, per dare aria alle parole,un respiro universale proveniente da un’unica fonte.
Per altre citazioni consultate Cocktail di citazioni.